Omelia anno C – Quarta Domenica
31.03.2019 come 27.03.2022- (IV di Quaresima-anno C) Figlio prodigo-TU SARAI SEMPRE FIGLIO
Gs 5, 9. 10-12
Sal 33
2 Cor 5, 17-21
Lc 3,15-16.21-22
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Questo ragazzo ha giusto un vestito addosso, sembra ancora un vestito bello ma consumato, stracciato in certi punti. Arriviamo ai piedi: il sinistro è pieno di cicatrici, il destro ha questo sandalo che ormai si è consumato a forza di viaggiare. Tutto di questo ragazzo lascia supporre che sia arrivato lì, sull’orlo, è una questione o di vita o di morte e arrivato a quel punto fa una scelta: torno a casa. Racconta una povertà immane, ma a destra c’è un piccolo astuccio con un pugnale, forse con lo stemma della famiglia, del padre…l’unica cosa che gli è rimasta e che lo spinge a tornare a casa è sentirsi ancora figlio, l’unica cosa che lo spinge a tornare a casa. Ricordati sempre: tu sarai sempre figlio. E questo uomo che lo abbraccia e lo accoglie: la divinità del nostro Dio sta tutta in questa sua umanità, perché Dio quando ama fa gesti umani. Questo è l’uomo della parabola, un vecchio con la barba lunga, bei vestiti ricamati, questo mantello porpora. Ma guardiamo il viso, questi occhi socchiusi. Non so se sono socchiusi per accogliere qualcuno con dolcezza, non spalancati per accogliere giudicando. Quando baci qualcuno, gli occhi si chiudono e questo vecchio ha gli occhi socchiusi, senza giudizio. Chissà, forse sono anche consumati, quest’uomo attendeva ogni giorno quel figlio, stava lassù dalla casa guardando l’orizzonte, chissà quanti tramonti avrà visto sperando questo ritorno. E allora che belli questi occhi che sanno guardare oltre, sanno guardarti dentro. Gli occhi di Dio non guardano mai le apparenze, guardano solo il cuore. Che pazzo questo padre che ha avuto il coraggio di lasciar andare suo figlio, il minore e più scavezzacollo. L’amore divino è così e da questo amore dobbiamo imparare a liberare, non a legare né costringere, a lasciare andare le persone anche quando il rischio può essere alto. L’amore di Dio fa questo, bisogna imparare. Dopo che questa luce sbatte sulla fronte di quest’uomo vecchio e in qualche modo scende lentamente dalle sue spalle fino alle mani, le mani sono proprio il centro di questo quadro bellissimo. Non puoi non vederle e non accorgerti di come sono diverse queste mani, perché Dio è padre e madre. La mano sinistra è di uomo, vigorosa e forte, più grossa e si appoggia proprio lì sulla spalla, come quasi a voler sostenere questo ragazzo. La mano forte fa questo, sostiene. Invece la mano destra è affusolata e femminile, mano di donna, di madre, appoggiata proprio lì sul cuore. Solo lì poteva stare questa mano di donna, di madre, che accarezza, consola, dà un po’ di calma. Ho scoperto che in pranoterapia la mano che dà è quella destra, come se la mano destra di quest’uomo è quella che dà molta più energia della sinistra anche se sembra più forte. Torniamo a questo bellissimo mantello color porpora, appoggiato lì come fossero due bellissime ali di chioccia…e che rosso, il colore che ha la lunghezza d’onda più lunga degli altri colori, il colore primario più vivo, il colore dell’amore, della passione, del nostro sangue. Che bello poter stare accucciati e accolti sotto un mantello così, pieno d’amore e di passione. Notate che il figlio maggiore che sta in piedi all’estremità destra ha un mantello simile a quello del padre, ma come mai il colore rosso cambia? E’stinto, morto, come se fossimo noi a dare colore alle cose, a quello che siamo e che viviamo. In effetti questo ragazzone alto, sottomesso a questo padre e anche su di lui Rembrandt ha dipinto questa luce sul viso che però è tutt’altro rispetto a quello del padre. La luce si ferma lì, non scende da nessuna parte perché purtroppo ha lo sguardo di colui che giudica, ricordate il fariseo che sta davanti e si sente a posto e giudica invece chi sta in fondo inginocchiato. La diversità tra lui così ritto e il padre così accucciato e piegato, le mani del padre aperte come a dire ‘sono pronto a vivere, ad accogliere’ , le mani invece di quest’uomo sono chiuse. Anche le mani del figlio sembrano quasi una maschile e una femminile, chissà. Certamente ha preso dal padre alcune cose, ma in questo quadro sono così diversi! ‘Questo tuo figlio ’ non lo chiama più fratello, perché è ferito nell’orgoglio, ma forse quest’uomo è quello che ci assomiglia un po’ di più, quante volte anche noi abbiamo giudicato gli altri perché malfattori, hanno sbagliato, hanno speso i soldi con le puttane dice in vangelo. Alla fine non me ne importa di sapere se siamo stati più un figlio o l’altro, questa sera voglio lasciarvi con questo pensiero: perché non provare ad essere come questo padre, lasciar perdere tanti giudizi, tanti sguardi che giudicano e ogni tanto avere il coraggio di tenere le mani allargate, pronte sempre ad accogliere e provare ad avere anche noi questo sguardo maschile e femminile, ognuno di noi lo è un po’ e un po’. Posso veramente sognare che ogni tanto si possa fare come questi padri.
Volevo terminare con questa immagine…ero in questo convento tanti e tanti anni fa al liceo, giocavamo a calcio per vocazione e quel giorno d’autunno c’era da raccattare le foglie, tutti con sacchi e ramazze e giocavamo anche a raccogliere le foglie. A un certo punto giochiamo a chi lancia la scopa il più lontano possibile. Quel giorno vinsi, lanciai la scopa così lontano che ruppi un vetro. Il fuggi fuggi, nessuno era stato. Arrivò il nostro direttore, padre Fidenzio che con il suo bel vocione e la sua statura non indifferente disse’ Io adesso vado nel mio studio e aspetto chi è stato a rompere il vetro a venirmelo a dire’. Dovetti andare mio malgrado, mi feci forza e coraggio e dopo aver bussato mi invitò ad entrare. Sulla sua cattedra c’erano duo o tre pasticcini e lui mi disse ‘Ne vuoi uno?’… Basta così.
Giorgio