
Omelia anno B – Prima Domenica
Anno B 1° Domenica di quaresima – 18 febbraio 2018 – Arcobaleno
Gen 9,8-15; Sal 24; 1Pt 3,18-22; Mc 1,12-15
In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Mi sono messo questa stola colorata (anche se siamo in quaresima e il paramento non dovrebbe essere questo) perché quest’anno la quaresima inizia con l’arcobaleno. Per cui mi va di essere più un arcobaleno che il viola atteso. Succede che prima dell’arcobaleno, prima del diluvio, Dio aveva guardato con attenzione la vita creata e queste sono le sue parole: Dio vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni intimo intento nel loro cuore non era altro che male, sempre. E Dio si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. La Bibbia ci consegna un Dio dai tratti molto umani, un Dio che si pente un Dio che si addolora. Io mi pento quando ho compreso di aver sbagliato qualcosa. Dio si rende conto che deve aver sbagliato qualcosa con questa umanità, con noi. Lo sappiamo bene, perché ognuno di noi, senza andare a guardare troppo lontano, ognuno di noi ha dentro di sé il bene e il male, che ogni giorno in qualche modo vivono la loro battaglia. Ad ognuno di noi poi, ogni giorno, di provare immagino a fare vincere il bene. Però mi piace pensare che questo Dio in qualche modo si rende conto che quando ha fatto l’uomo qualcosa non ha funzionato.
Ma già dall’inizio era stato così, vi ricordate? Ci sono due narrazioni della creazione nella Bibbia, nel primo capitolo e nel secondo. In una delle due si narra che Dio prima crea solo Adamo e siccome gli consegna tutta la terra crede che Adamo possa essere contento. Non solo ha tutta la terra davanti ai suoi occhi, ma addirittura un amico intimo, Dio stesso. Ma ciò non basta, perciò dopo qualche giorno deve ravvedersi su questo primo pensiero e poi crea la donna, quella che gli sta di fronte. Come a dire: non c’è nulla di già scritto, ma neanche per Dio! Dio cresce con noi. Dio ovviamente si arrabbia, si addolora vive come viviamo noi. Ma non solo Gesù. Dio.
Ed è bellissima poi questa narrazione, questo mito del diluvio. Insomma per porre rimedio a questa cosa che ha fatto…insomma ricominciamo da capo. Proprio tutto nuovo. E il segno di questa rinascita, il segno della risurrezione, così dice la Parola, quando Noè lascia volare la colomba per vedere se ha smesso di piovere e la terra è riapparsa…questa colomba torna e la Bibbia dice, con nel becco una tenera foglia di ulivo. La resurrezione non sempre ha platee come quel giorno quando Lazzaro esce dalla tomba. Qualche volta la resurrezione è semplicemente una piccola foglia di ulivo. E’ da lì che puoi riconoscere se qualcosa sta ricominciando. Se passeggiamo in questi giorni nei boschi…io ho visto le primule, siamo ancora in pieno inverno, ma sotto la vita vive. C’è già una parvenza di primavera. Ci sono già i boccioli su qualche pianta. La vita lì sotto continua. Che noi ci siamo o no.
E allora poi, arriva questo bellissimo segno. Non che fosse la prima volta che l’arcobaleno ci fosse in cielo! Però, da quel giorno in poi l’arcobaleno assume un significato enorme, così dice la Parola. Pongo il mio arco sulle nubi perché sia il segno dell’alleanza tra me e te. Tra me e la terra. Allora da quel giorno in poi, ogni volta che c’è l’arcobaleno in cielo ci deve ricordare che quello è il segno dell’alleanza di Dio con noi. Di una resurrezione intera della terra. Noi, in qualche modo, chiaro che siamo figli di Adamo ed Eva, ma se poi tutto è ricominciato con questa famiglia, siamo anche figli di questa seconda generazione, in qualche modo.
Quanti arcobaleni ci siamo persi. Quanti arcobaleni abbiamo visto e così…a parte la meraviglia di qualche istante… D’ora in poi proviamo a ricordarci che quello è il segno di Dio, del suo amore per noi, di qualcosa che è ricominciato da quel giorno, da quel seme. Nell’antichità ovviamente le guerre si facevano con archi e frecce per cui porre questo arco nel cielo è come per i popoli che in tempo di pace appendevano il loro arco alla parete. Ecco: Dio appende alla parete del cielo questo bellissimo arcobaleno. Che bel segno, non poteva pensare a nulla di più bello per dirci: ricominciamo da capo, ricominciamo insieme, dalle ceneri rinasce qualcosa di così meraviglioso. E poi quando Dio fa questa alleanza con gli uomini, siccome per lui le cose sono vere non come tra noi spesso e volentieri, questa sua pace diventa veramente eterna. Io credo che in qualche modo quei quaranta giorni non siano serviti solo a Noè e alla sua famiglia per pensare e ripensare a come ricominciare da capo. Credo che siano serviti anche a Dio per pensare e ripensare. E di fatto quando poi c’è questa nuova alleanza, Dio ha le idee ben chiare. Molto chiare perché lui fa una promessa all’umanità intera, a tutta l’umanità, a noi stessi oggi fa questa promessa: D’ora in poi, mai più diluvio. D’ora in poi mai più devastazioni. Non farò più nulla del genere. Questa cosa vuol dire: ma quanto grande è la fiducia di Dio per l’umanità? Perché voi sapete un patto si fa in due, un’alleanza si fa in due. Ciascuno deve in qualche modo dare qualche cosa. Proporre e accogliere quello che l’altro gli propone. Sapete cosa Dio chiede all’uomo? In cambio di questa alleanza nuova, in cambio di questo ricominciare? Non chiede nulla per sé, non chiede preghiere, nulla che ha a che fare … ma chiederà una cosa sola: umanità! non far più altri disastri, riconosci che l’unico senso della vita non è far la guerra, ma stare in pace. In pace nel proprio cuore, in pace con la propria famiglia, in pace con l’umanità intera. Mi piace questo Dio che ci mette la faccia e che per primo mette bene in chiaro qual è il suo patto, qual è la sua alleanza. E allora possiamo comprendere bene qual è la nostra vocazione. La vocazione dell’umanità è quella di non creder più nella violenza, perché Dio stesso poi si pente di aver mandato il diluvio, anche lui si è fatto un po’ fregare. Violenza chiama violenza, sempre.
La nostra quaresima quest’anno inizia con una foglia di ulivo e terminerà sempre con qualche ramo di ulivo, vi ricordate, la domenica prima di Pasqua, la giornata delle palme e degli ulivi. E poi l’ultimo giorno di vita di Gesù nell’orto del Getsemani, sotto all’ulivo. L’ulivo lo sappiamo, è proprio il segno della pace. Quanto c’è bisogno ancora di questa pace…quanto c’è bisogno ancora che l’umanità comprenda che l’unico modo per crescere è quello di vivere nella pace. Chissà se prima o poi ci sarà dato.
Una parola su questo vangelo. Insomma passiamo dal diluvio, sommersi dalle acque, a un deserto, dove l’acqua non c’è quasi mai. E in questo deserto incontriamo Gesù. Gesù che vive quaranta giorni in compagnia degli angeli e delle fiere, dei diavoli in qualche modo. Non è una sua scelta. E’ lo Spirito che lo spinge ad andare nel deserto. E noi sappiamo che in effetti questo è in qualche modo un’iniziazione, una prova di maturità, insomma, perché quando tornerà dal deserto comincerà veramente la sua vita missionaria, evangelica, non smetterà più fino all’ultimo giorno. Che cosa deve comprendere Gesù nel deserto? Anche lui è messo alla prova, per cui, ragazzi, tranquilli! se è stato messo alla prova lui! Ci tocca essere messi alla prova. E forse il vangelo all’inizio della quaresima sta a dirci proprio questo: addirittura sembra un passaggio obbligato per la nostra crescita, che la vita ci metta alla prova. Chiaro che quando sei nella prova vorresti solo uscirne, vorresti solo superarla, ritornare a stare bene. Però magari in questa quaresima ogni tanto fatti semplicemente questa domanda: chissà perché questo momento è così? Chissà se mi potrà aiutare a crescere?
Ho vissuto con un gruppo di amici un week-end all’insegna del libro del Qoelet. Piccolissimo libro della Bibbia che tutti conosciamo per questo canto del tempo in cui si dice “c’è un tempo per nascere e un tempo per morire un tempo per far pace e un tempo per far guerra”
Abbiamo compreso in fondo che la vita è così, la vita anche se noi vorremmo togliere ovviamente la guerra la morte, le cose negative, pesanti, la vita di suo continuerà a regalarci tutto. A noi di provare di provare… qualcuno dice addirittura di provare a danzare sotto la pioggia, di provare a danzare tra questi opposti. Perché tanto ci saranno sempre. Come vi ricordate quel giorno in cui Gesù nella parabola parlava di grano e di zizzania che crescevano nello stesso campo. Gesù dice no, lasciate che anche la zizzania cresca. Perché piuttosto che perdere una sola spiga di grano, lasciate che crescano insieme. Alla fine ci sarà poi qualcuno che metterà insieme le cose, ma non è affare nostro. Alla fine. A noi chiaramente di spendere tempo per far crescere il nostro grano buono.
Un pellegrino a Santiago de Compostela scriveva: la fame, la sete, il dolore, la paura, sono lasciate al pellegrino perché si rallegri dell’ospitalità, dell’amicizia, dell’acqua e del pane. Perché li riconosca e capisca nella sua carne e nel suo corpo come è stato il deserto, il digiuno, la tentazione e cosa sia la dolcezza di Gesù e il suo perdono. Perché la verità di una cosa si attacca solo alle ferite che sanguinano di desiderio. Allora prepariamoci perché se vivremo una vita vera in questi quaranta giorni di quaresima sicuramente avremo i nostri momenti bui, le nostre tentazioni, le nostre fatiche, ma potremo guardarli con altri occhi. Proviamo a pensare che in qualche modo saranno momenti preziosi anche quelli. Io credo che questo è un po’ il segreto di questi riti e di questi tempi per preparaci alle feste più belle e più preziose della nostra fede. E allora che questi quaranta giorni siano veramente per te, per ognuno di noi, possano essere l’occasione e il tempo di tornare un po’ all’essenziale, alle cose che contano di più. Fermarti soprattutto per guardare, per capire chi sei. E avere il coraggio di guardare in faccia forse a qualche tua paura, e magari riuscire a comprenderla un po’. E se non oso chiedere troppo anche ad usarla.
Ora il tempo è vicino, ora Dio è vicino. Ora. Non domani. Ora.
Giorgio