IL SILENZIO

L’oro bianco nella natura.

La partitura di uno dei brani più discussi della musica contemporanea è completamente vuota. Si tratta della composizione di John Cage del 1952. Non una nota, né un accordo, né un verso da cantare. Nulla, tranne una parola: tacet. Non suonate. Il titolo del brano, 4’33”, ne indica la durata: quattro minuti e trentatré secondi di silenzio, o meglio di quasi silenzio, perché il musicista che esegue l’opera non può evitare che il silenzio sia interrotto dal pubblico o da altri fattori: una sedia che si sposta, il pavimento che scricchiola, un colpo di tosse, traffico, rintocchi di campane. Troppo fragile il silenzio per non essere infranto. Cosa ci dice, dunque, il silenzio di 4’33” ?  Che ogni suono quotidiano ha la sua importanza. Che dobbiamo lavorare per ascoltare noi stessi. Che fare silenzio è un’esperienza tanto difficile quanto elevata. Che il silenzio non significa essere soli. Che il silenzio è maltrattato dagli eccessi della civiltà delle macchine, dei consumi, del rumore. 
Se l’acqua è l’oro blu, se gli alberi sono l’oro verde, il silenzio è l’oro bianco. Una merce sempre più rara. 
Cosa significa silenzio? Soltanto assenza di rumore? Niente affatto. Il silenzio è un manifesto, una dichiarazione di intenti. È ritirarsi, è dare via ciò che è troppo, è riconoscere la funzione del limite, è sfuggire all’obbligo di produrre senza sosta. 
Il silenzio è dinamica sottile tra assenza e presenza. 
SILENZIO UGUALE TUTELA
Le società umane non sono le uniche a soffrire del rumore che esse producono, infatti l’inquinamento acustico produce danni agli animali selvatici, terrestri e acquatici di tipo comportamentale, riproduttivo, ormonale, distributivo. 
Per la fauna selvatica il problema rumore attiene soprattutto al tema della comunicazione. Se c’è un rumore di fondo, i suoni della comunicazione sono coperti e così possono andare persi segnali di importanza vitale come ad esempio il grido di allarme che indica la presenza di un predatore, il canto di corteggiamento per la riproduzione o la richiesta di cibo che arriva da un pulcino. 
Le risposte degli uccelli al problema sono varie. Se il rumore è troppo forte, il sito viene abbandonato. C’è poi la soluzione cambio di orario: specie che normalmente cantano di giorno, si adattano a cantare di notte. Oppure sono alzate le frequenze e il volume del canto con problemi di riconoscibilità. Possiamo allora comprendere l’alto valore ecologico che c’è nel silenzio. Un valore concreto, non astratto. Rispettare il silenzio equivale a rinunciare ad essere ovunque, a dismettere il programma di conquista e consumo di ogni luogo della Terra, restituendo alla natura almeno una parte di ciò che le spetta. 
Esiste una forte coerenza tra l’impegno europeo per contrastare il rumore, creando un’Europa più silenziosa, e la nuova Strategia di Bruxelles presentata a maggio 2020 intitolata “riportare la natura nelle nostre vite”. Tra gli obiettivi, il restauro degli habitat, la trasformazione di almeno il 30% di territorio in area protetta e la creazione di zone integrali di natura selvaggia. 
SAPER FARE SILENZIO
I maestri del passato ci hanno insegnato che l’essere umano è l’animale del logos, l’animale che sa pensare e parlare. 
Dopo migliaia di anni e dopo gli ultimi decenni di febbrile assedio alla natura, dobbiamo forse riconsiderare il concetto, facendogli fare un passo avanti. L’essere umano è anche, soprattutto, l’animale che sa fare silenzio. Fare silenzio è facoltà più elevata di quella del logos, è la stanza della riconciliazione, è il verbo che salverà il pianeta. 
Le foglie, i sussurri, le tempeste, i canti: la natura è intorno a noi è a suo modo ci parla. Non c’è compagnia più duratura e bella di quella che ha la natura intorno a sé è, almeno per un pò, non ha bisogno di parole. 
 
Tratto da : L’ecologia del silenzio di Danilo Selvaggi direttore generale della LIPU – Lega Italiana Protezione Uccelli